Tendenze di mercato: qualità dei vini siciliani contro prodotti economici. Chi vince?


“La ricchezza siciliana sta nella terra. Coltiviamola e mettiamo in tavola la qualità”. Sembra una frase liberamente ispirata a “Via col Vento” dove risuona ancora la citazione “La terra è l’unica cosa che conta”. A pronunciarla sono invece i produttori di vini etnei che sono riusciti a valorizzare i propri frutti a livello internazionale, anche nella scorsa annata piuttosto complicata da un punto di vista gestionale, sia per motivi finanziari sia climatici.

“Alcuni sono buoni solo per la doccia. Easy for shower dicono gli inglesi”. Così un noto imprenditore del settore Giuseppe Benanti commenta certi vini che invadono il grande mercato a basso costo. “Da amante della fotografia – ironizza – adoro cogliere gli atteggiamenti degli ubriachi che hanno sempre a fianco grandi quantità di vini in brick”.

È chiaro che, in questo caso più che mai, l’obiettivo è perdersi nella quantità piuttosto che nella qualità. Ma “Alcune piccole aziende – continua Benanti – vendono per esempio il Nero d’Avola sfuso e rivenduto dagli acquirenti imbottigliato con un costo appena maggiorato ma comunque inferiore rispetto ad altri prodotti pregiati. Il vino deve essere un momento d’emozione che rappresenti il territorio. Infatti definisco l’Etna l’Isola nell’Isola perché la sua biodiversità di piante ed ambiente circostante permette di marcare le peculiarità dei vini. In questa parte di mondo, esistono zone vocate dove crescono viti e ulivi come anche castagni e noccioli. In altre zone, c’è frumento ed altri prodotti agricoli”.

“La conservazione di questa biodiversità vegetale ed ambientale – spiega Andrea Marletta, Agronomo e Degustatore AIS (Associazione Italiana Sommeliers ) – è la chiave per una adeguata coltivazione dei vitigni autoctoni. Questa caratteristica è rappresentata da vari esemplari come la ginestra che stimola la formazione di germoplasma. Questo è curato dal Parco dell’Etna che, come istituzione, ha il compito di proteggere la viticoltura locale, sponsorizzarla e incrementarne il valore economico”.  

“L’Etna morfologicamente è un cono – aggiunge Marletta – ed io ho la fortuna di viverci. Uno dei posti più belli per coltivare viti. Prende il sole da tutti i versanti fino a mostrare 4 zone climatiche: miti sul fronte orientale e con profonde escursioni termiche sul fronte occidentale. Tutto questo rende il vulcano una fonte inestimabile per la varietà e riconoscibilità dei vini ottenuti”. 

Da parte dei produttori non c’è una lotta aperta alla merce grossolana del sistema commerciale. Piuttosto bisognerebbe saper accontentare varie fasce di fruitori che sappiano anche capire cosa c’è dietro ogni bottiglia.

“L’aspetto umano e passionale – afferma il giovane produttore di Linguaglossa Eugenio Vivera – è il filo conduttore per la coltivazione. Ogni azienda ha la propria filosofia. Con questa visione, la bottiglia di vino non rispecchia più solo il risultato finale. Quando hai coltivato in qualunque condizione climatica, di stress e fatica, vendere un vino ad altre aziende è come se ti strappassero un figlio dalle braccia. Un mestiere fatto di passione che vuole comunque un utile, un tornaconto. E di questi tempi diventa sempre più difficile”. “Esistono prodotti di imbottigliamento – ribadisce Vivera – che spaccano il mercato e che arrivano a costare persino 50 centesimi di euro. I costi di produzione sono elevatissimi rispetto a quelli di mercato. Nel territorio etneo, il 25% in più di altri posti in funzione dell’ambiente. Per far fronte a tutto questo, bisognerebbe diffondere le nostre potenzialità e tradizioni. Millenni di storia non possono essere cancellati in un solo minuto con l’avvento della tecnologia. Anche perché quest’ultima velocizza ma non necessariamente migliora la produzione. Ricordiamoci che, nella nostra professione, non ci si riposa mai neppure durante la vendemmia, in cui si fatica in vigna piuttosto che in cantina”.           

A portare un suo interessante contributo, anche Marco Nicolosi, produttore dell’azienda vinicola Villagrande. “E’ necessario – dice – avere alle spalle una tradizione di famiglia e una manodopera efficiente per essere all’altezza di un mercato internazionale”.          

La costanza, l’esperienza e l’umiltà sono dunque le tre doti fondamentali dei produttori di vini che, in questa regione, operano con molto rispetto del territorio. In particolare, Benanti è stato recentemente insignito di un premio prestigioso in Piemonte dall’Accademia del Roero per aver saputo salvaguardare il territorio, ottimizzando la sua attività.

Non si può lasciare nulla di intentato in questo settore.

“A volte, nel territorio etneo – conclude Benanti – siamo nelle mani di Dio. Per cui non possiamo violentare le sue caratteristiche per assecondare le richieste di mercato. C’è un pubblico vasto che, nel vino, cerca solo un compagno da tenere accanto durante i pasti. Ma c’è un’altra fetta di pubblico che vuole soddisfazione e gratificazione e che può allargarsi al resto del mondo”.         

C’è un dato significativo che fa capire quanto la nostra popolazione non creda in se stessa. La Sicilia è la regione dove si produce più vino ma dove, paradossalmente, se ne consuma meno.   

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