Sono davvero numerosi i casi di cronaca nera che vedono come protagoniste delle neomamme che compiono gesti insani nei confronti dei loro figli. La causa, spesso e volentieri, viene attribuita alla cosiddetta depressione post-partum, un disagio di cui sembrerebbe soffrire l’8-12% delle donne italiane. L’ultimo drammatico episodio si è verificato a Milano qualche giorno fa. Al centro della vicenda una mamma di origine egiziana che, in preda all’ira e alla disperazione, ha lanciato le due figliolette dal balcone, salve grazie al tempestivo intervento dei vigili del fuoco che hanno piazzato un gommone salva vita sotto l’abitazione. Alla base del folle gesto sembrerebbe esserci una sindrome depressiva post-partum, di cui soffriva da qualche tempo la donna.
Per avere un quadro più chiaro di questo disagio sempre più frequente, Sicilia & Donna ha intervistato la dottoressa Laura Privitera, psicologa e psicoterapeuta.
Negli ultimi anni si sente parlare molto di depressione post-partum, conosciuta anche con il nome di depressione puerperale: potrebbe spiegarci in che modo si manifesta e che durata ha solitamente?
Si tratta di un disagio che colpisce quelle donne che, dopo il parto, si ritrovano a convivere con un senso di inadeguatezza al ruolo di madre, di rigetto della responsabilità genitoriale, quindi di conseguenza di rifiuto del neonato. La mamma entra così in un circolo vizioso: vorrebbe adempiere al ruolo, ma a causa del timore e del senso di colpa, non è in grado di farlo e quindi scivola nella depressione. La durata della depressione post-partum è variabile e dipende dal soggetto in questione.
Dove va ricercata la causa di questo tipo di disagio?
Ci sono due fattori scatenanti: uno personale legato a traumi pregressi irrisolti o ad alcune fragilità che riemergono subito dopo la gravidanza, essendo una fase molto delicata; il secondo fattore è rappresentato dallo squilibrio ormonale generato dalla gravidanza, gli ormoni giocano un ruolo importante sull’umore della donna. Altri fattori importanti sono il contesto familiare e sociale in cui vive la neomamma: molte donne restano aggrappate al ruolo di figlie che risulta molto più semplice, essendo fonte di benefici piuttosto che di responsabilità. In generale, va sempre inquadrato il passato (in particolare l’infanzia) e il presente che si sta vivendo. Chi ha avuto un rapporto abbastanza distaccato o eccessivamente morboso con la propria madre, molto probabilmente non si troverà nelle condizioni di gestire al meglio il legame con il proprio figlio.
Quali sono i campanelli d’allarme che la famiglia dovrebbe riconoscere nel caso di una depressione puerperale? E come dovrebbero comportarsi il partner e i familiari nei confronti della donna?
Il primo segno evidente è rappresentato da un rifiuto fisico del neonato, talvolta la donna non riesce neanche ad avvicinarsi a lui per paura di fargli del male o per un senso di inadeguatezza al ruolo materno. La neomamma va aiutata ed incoraggiata. In questo, il sostegno del compagno o del coniuge è basilare. Spesso, molte donne richiedono la presenza della loro madre al momento del parto. Ma avere a fianco a sé il padre del nascituro sarebbe molto più sensato e opportuno: non va dimenticato che si diventa genitori in due.
Qual è l’aiuto concreto che si può dare alle mamme che soffrono di depressione?
La soluzione migliore sarebbe quella di rivolgersi ad uno psicoterapeuta ma non soltanto nel momento successivo al parto. La fase antecedente alla nascita del neonato, infatti, è molto delicata e un professionista è in grado di individuare facilmente eventuali fragilità o traumi passati che potrebbero portare ad una sindrome depressiva.
Fino a qualche decennio fa non si sentiva parlare di depressione post-partum e non si rivolgeva grande attenzione verso la figura della neomamma. Secondo lei, cos’è cambiato oggi rispetto al passato?
Se facciamo riferimento ad una cinquantina di anni fa, la situazione era completamente diversa: innanzitutto, c’era una concezione che vedeva la donna naturalmente destinata al ruolo di madre. E nella maggioranza dei casi, la rete familiare era molto forte e quando la neomamma non era in grado di prendersi cura del figlio, interveniva la nonna o un’altra figura femminile come la zia. Oggi, per fortuna, si fa leva sulla prevenzione primaria: esistono diversi corsi che cercano di informare e preparare al meglio la futura madre per evitare drammi come la depressione post-partum. Questo disagio non deve essere motivo di vergogna e occorre chiedere aiuto per il benessere del neonato, della madre e di tutto l’ambiente familiare che entra in crisi.
Esiste una correlazione tra l’età della madre e la depressione post-natale? Si registra un numero maggiore di casi riguardanti mamme molto giovani?
No, non c’è alcun legame tra il disagio e l’età della donna: ci sono neomamme che affrontano la nascita del primo figlio senza l’insorgenza di problemi rilevanti, ma alla seconda gravidanza entrano in crisi poiché stanno vivendo una fase della vita più difficile, a causa di un rapporto difficile col coniuge per esempio.
Qual è la differenza tra la depressione post-partum e la cosiddetta psicosi post-partum?
La psicosi post-partum ha conseguenze ben più gravi (tra cui uno stato di agitazione e di forte alterazione dell’umore che può portare ad allucinazioni e deliri) e scaturisce da traumi passati più considerevoli. La depressione post-partum, se non viene riconosciuta e curata, può degenerare in casi di psicosi. La depressione, anche ai primi stadi, non è mai da sottovalutare.
In molti casi di cronaca che riportano gesti estremi compiuti da neomamme nei confronti di neonati la causa viene individuata nella depressione post-partum. Secondo lei è giusto considerare questo disagio come una causa diretta di certe tragedie?
Non sono molto d’accordo con questo atteggiamento semplicistico: ogni situazione è a se e non si possono giudicare le situazioni se non si conoscono i traumi presenti nel passato di una persona. Prima di parlare facilmente di depressione legata al parto, sarebbe opportuno sentire il parere di uno psicologo o psichiatra.
Parliamo del cosiddetto “baby blues”, che riguarda circa l’80% delle donne italiane. Di cosa si tratta? Può sfociare in una sindrome depressiva grave?
Per “baby blues” si intende una condizione di tristezza e di malinconia che solitamente accomuna tutte le donne subito dopo una gravidanza. Non c’è da preoccuparsi perché è del tutto fisiologico vivere uno stato di malessere provocato da un cambiamento fisico, ormonale e dallo stress. Il “baby blues”, però, non va confuso con la depressione post-partum poiché in genere sussiste per un paio di settimane.
Articolo di Rosita Cipolla
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