Spesso, leggendo i giornali, tra i fatti di cronaca non è difficile imbattersi in liti tra condomini che degenerano sino alla perpetrazione di veri e propri reati ai danni di altri soggetti proprietari di beni in comunione condominiale.
Così, infatti, l’8 gennaio 2018 a Catania, un signore è stato arrestato perché voleva fare saltare in aria un appartamento a causa di rancori condominiali nei confronti di due donne residenti nello stesso stabile.
E’ risaputo, sin dai tempi degli antichi romani, che la comunione di beni è causa di litigi ed i motivi spesso sono futili o banali, mentre basterebbero il comune senso civico e la pacifica convivenza ad evitare il peggio.
Secondo una classifica, effettuata dall’ANAMMI(Associazione Nazional – europea AMMinistratori d’immobili)sulla base delle segnalazioni degli associati, tra le liti più frequenti all’interno degli edifici condominiali ai primi posti vi sono quelle per : rumori molesti, parcheggio selvaggio in deroga al regolamento condominiale, rapporto con gli animali domestici, innaffiatura di piante in balcone. Insomma ogni scusa è buona per litigare.
La maggior parte di queste liti tra condomini, che stando alle statistiche, sono davvero numerose, finisce dinnanzi i tribunali civili (in particolare, di fronte al Giudice di Pace), con aggravi di spese, perdite di tempo e uno stress non indifferente tra la ricerca dei documenti, testimonianze, prove, colloqui con gli avvocati. Il tutto, troppo spesso, solo per questioni di “principio”.
Non è raro che questi procedimenti giudiziari si chiudano con sentenze di rigetto, poiché nella maggior parte dei casi è davvero difficile dimostrare, ad esempio, “l’intensità dei rumori molesti” o quante volte il vicino “parcheggia selvaggiamente” in aree condominiali non autorizzate.
Non è raro, poi, che durante l’intero processo ed anche a seguito di una condanna, l’illecito continui a perdurare ed il risarcimento del danno sia difficile da riscuotere.
In realtà, prima di arrivare davanti al Giudice ci sono davvero diverse soluzioni che possono sedare vecchi e nuovi rancori condominiali .
Prima fra tutti l’antica (ma rara)regola del buon senso, che impone di cercare una soluzione amichevole che possa mettere tutti d’accordo.
In questo caso è fondamentale rivolgersi all’amministratore quale persona preposta e competente a sedare in prima battuta animi e comportamenti “scorretti”.
L’amministratore diventa così un intermediario che attraverso il buon senso, la diligenza del buon padre di famiglia e la competenza (primo tra i requisiti!), spesso riesce a risolvere anche annose questioni tra le parti, purchè l’oggetto del diverbio sia prettamente di natura condominiale e non riguardi rapporti di natura personale.
Secondariamente, quando l’amministratore con le sue competenze e con i mezzi ed i poteri conferiti dall’assemblea non è riuscito, neanche attraverso atti bonari, a trovare una soluzione alla questione, la strada da percorrere è senza ombra di dubbio quella della mediazione.
Il decreto legge 69/2013(c.d. “decreto del fare”, convertito con la legge n. 98/2013) ha reintrodotto l’obbligo della mediazione civile e commerciale per le materie di cui all’art 5 del d.Lgs 28/2010 ivi comprese quelle condominiali.
Per cui tutti coloro che intendono intentare una lite dinanzi al giudice devono, ex lege, rivolgersi preliminarmente ad un organismo di mediazione e tentare un accordo prima di andare in giudizio.
Gli organismi di mediazione abilitati sono elencati sul sito del Ministero della Giustizia ed è previsto che la mediazione si tenga dinnanzi all’organismo che ha sede nella circoscrizione entro cui è competente il tribunale del luogo in cui si trova il condominio.
L’oggetto della mediazione deve riguardare il con-dominium (uso delle parti comuni, regolamento condominiale, tabelle millesimali, scioglimento condominio…ecc.).
La legittimazione, il procedimento e la durata sono indicati dal d.Lgs 28/2010.
Generalmente le problematiche inerenti le liti in condominio sono di natura civile, ma la giurisprudenza ha individuato alcuni articoli del codice penale che si possono estendere anche ai rapporti tra vicini.
L’art 674 del c.p., ad esempio, riguarda il“getto pericoloso di cose”. Secondo la giurisprudenza, tale reato si configura anche nel caso di molestie “olfattive” che superino il limite della normale tollerabilità ex art 844 c.c. . Tale reato è punito con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino ad euro 206. Nel novero degli oggetti del “getto pericoloso” vengono fatti rientrare anche, mozziconi di sigaretta, cenere e detersivi.
Non mancano, altresì, pronunce che hanno esteso all’ambito condominiale l’applicazione del reato di stalking ex art 612- bis del codice penale, atteso che è statisticamente dimostrato che i rapporti condominiali sono fonte di atti persecutori, anche se questi ultimi si verificano in un contesto diverso da quello della sfera affettiva. Così, ad esempio, un recente arresto della Corte di Cassazione del 2016 ha statuito che il reato di stalking si concretizza anche nel caso in cui un soggetto tenga nei confronti dei propri condomini dei comportamenti tali da cagionare nella vittima un perdurante stato di ansia fino a fargli modificare le proprie abitudini di vita. In questo caso, gli Ermellini hanno precisato che la prova della responsabilità dell’imputato può essere data anche solo attraverso le dichiarazioni della persona offesa, una volta verificata la sua credibilità soggettiva e l’attendibilità delle dichiarazioni rese.
Insomma, in tutti questi casi ed in molti altri qui non elencati, prima che accada il peggio la parola d’ordine è una sola: mediare!
Avvocato Tania Maria Esposito
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