L’ospite è sacro, questa formula assertiva trae origine da antichissimi costumi sociali che hanno finito con l’identificarsi col sacro.
Tutti sappiamo che l’Odissea racconta i 10 anni del viaggio affrontato da Ulisse per tornare a casa dopo la guerra di Troia. Ma non tutti sanno che l’Odissea è una miniera di informazioni sui costumi dei più antichi popoli che abitarono le regioni della Grecia. E in questo poema si leggono numerosi episodi di ospitalità che si svolgono tutti con lo stesso rituale. Quando un viaggiatore stanco e affamato incontra finalmente una casa umile oppure una reggia viene sempre accolto con simili parole: «Entra in casa mia e solo dopo che ti sarai ristorato col cibo mi dirai chi sei e perché ti trovi qui». Insomma, in questo racconto di viaggi e viaggiatori tutti sanno, per personale esperienza, che uno straniero appena arrivato ha bisogno soprattutto di sostegno materiale e di buona accoglienza. Nessuno infrange questa regola, anche perché talvolta le divinità del racconto omerico erano solite presentarsi sotto mentite spoglie nelle case degli uomini. Solo il gigantesco Polifemo, che con arroganza afferma di non temere gli dei, spezza questa tradizione uccidendo i compagni di Ulisse che gli chiedono ospitalità. Per questo viene punito con l’accecamento.
Come si fa ancora oggi presso tutti i popoli, l’accoglienza dell’ospite e la condivisione del cibo è un rito al quale non rinunciamo.
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