La dieta mediterranea può aiutare a prevenire l’insorgere dei tumori? Per gli esperti, la dieta mediterranea (cioè consumo di pane, pasta,verdure, frutta, cereali, pesce e soprattutto olio d’oliva che pare controbilanci i grassi animali) fornisce in tal senso preziosi alleati. Un’ulteriore conferma arriva dall’equipe di ricercatori del dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e Tecnologie avanzate “Gian Filippo Ingrassia” (Area Igiene e Sanità Pubblica) dell’Università di Catania. Il team etneo sta conducendo uno studio epidemiologico molecolare sulle donne dell’area metropolitana del capoluogo etneo. L’obiettivo del loro lavoro è di dimostrare come un profilo dietetico sano (come la dieta mediterranea) e ricco di folati possa contrastare gli effetti dannosi degli inquinanti atmosferici e di stili di vita scorretti.
«I risultati dello studio – spiega la responsabile del progetto di ricerca Antonella Agodi, professore associato di Igiene generale e applicata – ci consentiranno di individuare specifici target di popolazione per gli interventi di prevenzione, una sorta di “bio-banca” di campioni biologici ben caratterizzati dal punto di vista epidemiologico al fine di effettuare nuovi passi avanti nella ricerca sui tumori femminili».
I folati, vere e proprie “vitamine per la vita”, potrebbero avere in particolare un ruolo centrale nella prevenzione del cervico-carcinoma. I folati si trovano in alimenti sia vegetali che animali: asparagi, broccoli, carciofi, cavoletti di Bruxelles, cavolfiori, cereali, agrumi (arance, clementine, mandarini),avocado, bieta, legumi (fagioli, ceci, lenticchie, piselli, kiwi, indivia, lattuga frutta secca (noci, mandorle, nocciole), pane e pasta integrali, rucola, pomodorini ciliegino, spinaci.Tra gli alimenti di origine animale le uova. Modificando la storia naturale dell’infezione da HPV (Papilloma virus), l’assunzione dei folati ridurrebbe il rischio di infezione nelle donne non infette, o aumenterebbe la rapidità di guarigione naturale in quelle infette, oppure ancora, ridurrebbe il rischio di trasformazione neoplastica delle cellule dell’epitelio infetto. La ricerca prevede determinazione di biomarcatori molecolari su centinaia di donne, attraverso specifici prelievi, e la raccolta di informazioni attraverso appositi questionari.
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