L’oro scivola brillando sulla pelle dei guantoni. Sulla pelle dei caschetti di protezione. Sulla pelle di chi pugile lo è per vocazione o per necessità. I giapponesi la chiamano Kintsugi. E’ la tecnica di riparare i vasi di ceramica col prezioso metallo. Quel che sembrava rotto, guasto, perduto, risorge più bello di prima. Diverso e più bello di prima. E’ il messaggio profondo che NeonTeatro ha voluto trasmettere con la sua ultima fatica, con Boxeurs, lo spettacolo andato in scena sul palco dello ZO Centro Culture Contemporanee di Catania.
“Perché per noi quel che si viene a creare all’interno di un teatro è comunità -spiega Piero Ristagno, direttore artistico della compagnia catanese – è comunicazione. Attori e pubblico diventano un tutt’uno che condivide, che si scambiano emozioni, messaggi, esperienze. Viene a crearsi un microcosmo dove ognuno è parte dell’altro, ognuno è prossimo all’altro. Gioia, dolore, imprevisti, festa, tutto è vissuto intensamente, elevando al massimo il potere unificante della comunicazione”.
Festa, sì. La festa della vita, celebrata con un testo inedito, scritto da Francesco Caudullo, che ha fatto da prologo proiettato sullo schermo: “La festa è l’incessante necessario che si rivela, in tutto e per tutto, come atto di congiunzione. È di fatto il congiungimento insopprimibile del dovere (finalmente) sospeso con ciò che è gratuito e che non può porre a sé altra finalità se non la gioia. La vita, che del resto per quanto possa apparire arduo accettare, è una pratica discontinua di gioia, non può essere ridotta ad una produzione economica nella misura nella quale essa non può essere limitata alla sua logica biologica. La festa è pertanto quanto di più simile (vi sia) al trionfo. Nessun azzardo in tale affermazione poiché la festa è associabile al trionfo dal momento che, così come nel trionfo, è nel contesto festoso (e festante) che l’uomo che gioca (homo ludens) ha la possibilità di sospendere ogni suo vincolo immanente”.
Ecco la sintesi: la festa è quanto di più simile al trionfo. Al trionfo dell’essere umano, dell’essere umani. Essere umani. Dell’umanità che rispetta e celebra la vita, la gioia di esserci e di esserci ancora, nonostante tutto, nonostante proprio lei, la vita, coi suoi angoli che ti attendono lungo il percorso e non sai cosa c’è dietro.
Sul palco tutto è espressione, ogni attore è un messaggero e il ring non ha corde. Vi si può accedere. Vi si accede. D’altronde è la realtà che solchiamo. Ecco perché Roberto Camelia non può considerarsi un ospite. L’arbitro di boxe (lo è davvero) rappresenta quel che è NeonTeatro, quel che è Boxeurs. Investito mentre si lanciava in soccorso di un automobilista, ha perduto la gamba sinistra. Ma si è rialzato, la protesi come bacchetta con la quale dirige, con la quale indica il verso. “E’ stato un onore per me partecipare – racconta Camelia – perché quanto compiuto da NeonTeatro è qualcosa che travalica l’arte. L’impegno della compagnia dimostra che qualsiasi apparente limite può essere superato e che si può fare veramente qualcosa di concreto, di efficace per chi è diversamente abile. Il teatro, ho avuto modo di constatare, è uno strumento potentissimo e l’esempio di NeonTeatro dovrebbe essere imitato ovunque”.
Sul palco c’era anche lui, proprio nelle vesti di arbitro, che conta quando si cade al tappeto e che tira un respiro di sollievo quando ci si rialza, Quando si può continuare a boxare, a lottare.
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