Abbiamo incontrato Guglielmo Ferro durante la presentazione stampa di “Pensaci, Giacomino!” che andrà in scena al Teatro ABC di Catania. Il noto regista ci ha raccontato dei suoi inizi professionali e del suo lavoro, al di fuori dalla Sicilia. Vive da cinque anni a Londra e ci ha spiegato come i teatri europei siano molto differenti dai nostri. Lì, vengono vissuti giornalmente, come centri culturali e polifunzionali. Non chiedono finanziamenti pubblici. Sono delle imprese. “Per accrescere il pubblico – ha spiegato Guglielmo Ferro- è importante portare avanti un teatro contemporaneo, con un linguaggio che si avvicina alla nostra storia”.
L’intervista a Guglielmo Ferro
Come ha iniziato a fare il lavoro di regista?
Dopo aver studiato a Torino, ho fatto l’assistente alla regia a Sequi, Calenda, Pugelli e Missiroli. Ho girato l’Italia e poi ho partecipato al corso di formazione con Peter Brook, che mi ha insegnato tanto. Ricordo che quando ero assistente di Missiroli nell’ “Avaro” con Ugo Tognazzi, mi lasciò la regia e debuttai così. Ho lavorato con grandi personaggi come Tognazzi, Massimo D’Apporto, Mario Scaccia e mio padre stesso. Ho lavorato con grandi attori e la grandezza di quel teatro non esiste più, perché entrò in crisi alla fine degli anni ’90.
Che cosa le ha insegnato vivere in una famiglia di grandi artisti?
La grande dedizione al teatro e la serietà con la quale occorre fare questo mestiere, che bisogna impegnarsi fino in fondo.
Come vede la situazione attuale dei teatri pubblici in Sicilia?
La situazione non mi sembra molto bella. Non per colpa dei fondi che non ci sono, ma perché, a mio parere, spesso manca la qualità. La cultura del lavoro che avevano i nostri genitori, non c’è più.
Cosa si potrebbe fare per avvicinare i giovani a teatro?
La domanda da porsi è: perché i giovani dovrebbero andare a teatro? Il linguaggio del teatro è stato da sempre contemporaneo. I giovani dovrebbero avere i propri attori e registi per riscontrarsi. Il teatro è una forma di catarsi e bisogna andare a vedere un po’ se stessi, la propria storia. Ci siamo fermati sempre alle stesse storie. In tutte le altre parti del mondo, i giovani frequentano il teatro, ma lì si dedicano ai linguaggi contemporanei.
Ci sono delle differenze tra il teatro italiano e quello europeo?
Più che altro non c’è nessuna uguaglianza. I teatri lì sono dei centri culturali e polifunzionali che si vivono a pieno 24 ore su 24. Qui i teatri si aprono solo di sera e sono vecchi, non sono adatti alle attività nuove. In tutto il mondo al teatro si può festeggiare un compleanno, si può mangiare la pizza o lasciare i bambini per svolgere attività culturali. Il teatro è vita e deve essere vissuto. Non è una “cattedrale” dove si incontrano le élite culturali. Fin dall’antichità è nato per il pubblico, come strumento di congregazione.
C’è un progetto al quale le piacerebbe lavorare in futuro?
In Sicilia no. Fuori ce ne sono tanti. Da sei mesi, sono il direttore del teatro Quirino di Roma. Lì, stiamo lavorando al progetto di farlo diventare un teatro europeo e contemporaneo.
Anche se sono molto più grande, più leggo Ferro e più mi affascina. Il teatro ha bisogno di rinnovarsi, anche di questi monumenti viventi che sembrano non so che cosa. Sanno fare solo sempre le stesse smorfie. Legano tutto a un linguaggio vecchio e obsoleto. Anche quando recitano in un collettivo fanno sembrare il tutto un noioso monologo. Lo vede chiunque che non vedono loro che tutto finisca.
Come si può al giorno d’oggi pensare sempre allo stesso teatro?
E il nuovo?
E la partecipazione?
Già la partecipazione!
C’è qualcuno capace di mettere in atto qualcosa del genere, come quello di sceneggiare e dirigere poesie filosofiche e quant’altro possa essere vivo e non morto?
Cordiali saluti. Benedetto Scandurra