Sebastiano Lo Monaco sarà Agamennone al Teatro greco di Siracusa


Sebastiano Lo Monaco
Sebastiano Lo Monaco

E’ iniziato il countdown al teatro greco di Siracusa per l’apertura di un sipario, quello del 2015, tutto al femminile. Per il cinquantunesimo ciclo di rappresentazioni classiche, infatti, la Fondazione dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico ha scelto di mettere in scena, dal 15 maggio al 28 giugno, tre drammi d’eccezione, “Le Supplici” di Eschilo, l’ “Ifigenia in Aulide” di Euripide e la “Medea” di Seneca.
Una scelta tematica ad hoc per quella che è stata definita una “trilogia del mare”, una scelta che corre parallela alla disperazione, all’indifferenza, alle speranze deluse, della tragedia dei migranti del nostro presente, in un teatro greco atemporale che, attraverso la sensibilità delle eroine greche, punta all’attualità con le tematiche del diritto d’asilo, del sacrificio umano e della democrazia.
Ne parliamo con Sebastiano Lo Monaco che vestirà i panni di Agamennone nell’”Ifigenia in Aulide”, uno dei drammi più significativi di Euripide che, tradotto da Giulio Guidorizzi, nella classicità dei costumi di scena, sarà arricchito da riferimenti orientaleggianti, per la regia di Federico Tiezzi.

Intervista a Sebastiano Lo Monaco

Sebastiano Lo Monaco, chi era Agamennone, come impersonerà questo eroe sul palco del teatro greco?
«Beh, studiando Agamennone, interpretandolo, si capisce subito che non è un personaggio positivo, lui è un uomo combattuto fra le ragioni di stato e quelle del cuore, ma sceglie consapevolmente la ragion di stato. Agamennone non è solo trascinato dal destino, anzi con una certa vigliaccheria e codardia, nonostante sia un grande condottiero e guerriero, fa una scelta ben precisa e sviluppa più l’aspetto di capo di stato che di capo famiglia.»

Sebastiano Lo Monaco e Mariangela D'Abbraccio in  Dopo il silenzio (foto di Tommaso Le Pera)
Sebastiano Lo Monaco e Mariangela D’Abbraccio in Dopo il silenzio (foto di Tommaso Le Pera)

Come vivrà Agamennone il rapporto con le donne della sua famiglia, con la figlia Ifigenia, rappresentata da Lucia Lavia, e con la moglie Clitemnestra, impersonata da Elena Ghiaurov?
«Ifigenia fra tutti i figli è di certo la preferita da Agamennone, ma, come ho detto, lui sceglierà comunque le ragioni di stato; con Clitemnestra, invece, il rapporto è conflittuale già da prima delle tragedia, Agamennone ha strappato Clitemnestra ad un altro marito, le ha ucciso un figlio appena nato, dunque, non è stato certo un matrimonio d’amore. Il loro era un rapporto pieno e foriero di tutti gli sviluppi che poi avrà, la loro è una famiglia disastrata dal punto di vista affettivo, Agamennone ucciderà Ifigenia, Clitemnestra ucciderà il marito e l’altro figlio, Oreste, ucciderà la madre per vendicare la morte del padre.»

Parliamo di Ifigenia, Euripide l’ha voluta presentare come un’eroina, forse l’unica tra i guerrieri in crisi, ma come la presenterà il regista, si parla addirittura di un’Ifigenia jihadista, è così?
«Beh, questa è un’idea per dare una linea all’attrice, ma forse la stampa si è un po’ fissata su questa parola, non è che nello spettacolo vedremo un’Ifigenia terrorista, vedremo solo una donna che comprende tutte le ragioni del sacrificio, lo accetta e dunque sacrifica la propria vita per lo stato e, forse, anche le jihadiste sacrificano la propria vita per lo stato, ma il loro sacrificio si riferisce ad uno stato malvagio, è un sacrificio negativo. Io, piuttosto, aggiungerei un altro punto di vista, dato che durante il sacrificio, Ifigenia non muore perché viene trasformata in cerva, da cristiano, ci vedo quasi una premonizione dell’agnello sacrificale; Simone Weil, filosofa cattolica degli inizi del ‘900, ha studiato tutta la tragedia greca come anticipazione e premonizione di un’esigenza del fato e del religioso che poi sarebbe stato il cristianesimo.»

Sebastiano Lo Monaco in Per non morire di mafia (foto di Margherita Mirabella)
Sebastiano Lo Monaco in Per non morire di mafia (foto di Margherita Mirabella)

Tiezzi ha paragonato il dramma di Euripide al dramma borghese di fine ‘800, con riferimento alla psicoanalisi, al teatro di Ibsen, nonché alle interpretazioni che del mito davano Jung e Freud, lei che ne pensa?
«Beh, Tiezzi ha voluto vedere la tragedia attraverso gli occhi degli autori del ‘900 e attraverso la psicoanalisi, trasportando il dramma alla contemporaneità, parlando di famiglie malate e complesse; questo, però, accade non dal punto di vista visivo o delle immagini che è molto rispettoso della tradizione, i costumi sono antichi, classici, ma dal punto di vista della recitazione che è stata scavata e ridotta all’essenza; diciamo che questo grande regista ha portato gli attori a togliersi di dosso tutti gli orpelli di un certo modo tradizionale di recitare la tragedia greca, urlando e buttandosi per terra, ed ha scavato, piuttosto, dentro le battute per far venir fuori il conflitto di una famiglia, quella degli Atridi, che potrebbe essere certamente il conflitto di una famiglia contemporanea. Una volta un giornalista –racconta- chiese a Dostoevskij il perché parlasse sempre di famiglie malate e turbate da paranoie ed ossessioni e Dostoevskij rispose “Ma perché lei conosce famiglie felici?”» (sorride …)

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