Femmine-Piccola tragedia dell’amore, andato in scena al Teatro Coppola di Catania è il terzo lavoro partorito dalla mente del regista catanese Silvio Laviano per il progetto S.E.T.A (Studio Emotivo Teatro Azione), che ispirandosi alle parole dei grandi tragediografi greci, e alle donne da loro delineate, si propone di attualizzare e quindi sensibilizzare la platea contro la violenza sulle donne e il femminicidio.
Intervista a Silvio Laviano
Da dove nasce Femmine – Piccola tragedia dell’amore e perché?
“Il comune di Pedara mi ha invitato a partecipare con un lavoro che fosse una sorta di studio femminile, in occasione del convegno di due giorni, tenutosi per la Giornata Internazionale contro la
violenza sulle donne. Da lì parte l’idea di Femmine che abbiamo proposto in anteprima presso la sala culturale Expò, proprio durante il convegno Personalità a confronto… L’Amore non è violenza indetto dall’Assessorato alle pari opportunità e dal Comune di Pedara. Quattro monologhi, per quattro donne, che riuscissero a mescolare la potenza dei versi dei tragediografi classici con la nostra passionale tradizione mediterranea. Si tratta di una piccola tragedia dell’amore che delinea un percorso tutto al femminile e traccia le varie forme d’amore possibili: materno, fraterno, passionale, filiale. Le quattro attrici: Roberta Amato, Giada Caponetti, Luisa Ippodrino, Luisa Sichel decanteranno infatti con la loro voce e con la loro personalissima interpretazione i versi tratti dalle figure di Ecuba, Elettra, Antigone ed Medea. L’opera si propone di scandagliare il mito classico e i relativi archetipi femminili, come se fossero pietre preziose che adornano la volontà di schiudere uno scrigno fatto di preghiere, lamenti, invocazioni e condivisioni del mondo femminile. Elettra, Ecuba, Antigone e Medea sono infatti quattro donne, femmine di ieri, ma che condividono con le donne di oggi, la stessa colpa di amare. Quattro gioielli incastonati in una scenografia, veramente scarna ed essenziale, che si avvale fondamentalmente di quattro sedie da salotto. L’atmosfera che volevo creare era infatti quella di una casa chiusa degli anni’20, all’interno della quale queste donne potessero intimamente confessarsi e rendere partecipe sia il pubblico che l’invadente voyeur, ovvero me stesso. Il plot, di circa 40 minuti, è anticipato da un prologo un cui reciterò un brano da La nascita della Tragedia di Nietzsche, dal Codice dell’anima del filosofo contemporaneo James Hillman e dalla Donna e il burattino del poeta francese Pierre Louys. Le musiche sono di Wagner. In breve tutto risulta indissolubilmente legato all’alternarsi dell’apollineo e del dionisiaco, e agli archetipi legati alla femminilità. Alla fine dello spettacolo le attrici si spogliano di ogni suppellettile e trucco superfluo pronunciando ognuna il nome di una vittima di femminicidio dal 1983 ad oggi. L’intento è infatti quello di sensibilizzare l’opinione pubblica alla non violenza ed ad adoperarsi con ogni mezzo per combatterla ed eliminarla: per questo segue lo spettacolo l’intervento della Futuro Prossimo Cooperativa Sociale che collabora con il Progetto SETA – Studio Emotivo Teatro Azione perseguendo quest’obiettivo comune. L’allestimento di Femmine è stato previsto al teatro come unica data perché in realtà la nostra idea è di rappresentarlo nelle scuole o ovunque verremo chiamati. Si tratta di un vero e proprio progetto formativo”.
In Femmine dove sono gli uomini?
“Non ci sono uomini in scena, oltre il mio personaggio che, come affermavo prima, è più una sorta di voyeur, esterno alla scena. Un deus ex machina che inizialmente declamerà il prologo e poi rimarrà osservatore ai piedi del palcoscenico. Gli uomini, coerentemente al messaggio che si voleva lanciare in questo caso, non ricoprono di certo ruoli positivi. Li conosciamo solo tramite le parole delle donne e sempre velati dall’amore che loro provano per essi”.
Osservando anche i tuoi progetti passati, Shakespeare, Pirandello, e in questo caso i tragediografi greci. Perché partire dai classici?
“Perché, (sorride) loro hanno già detto tutto. Quella che ha espresso una donna come Medea, lo ritroviamo e lo ritroveremo sempre in altre donne. Fermo restando che parto sempre dai classici, amo anche la contemporaneità, quindi i miei progetti cercano di riproporre il sempre-eterno classico ma in forme e spettacoli nuovi ed attuali che si costruiscono anche e soprattutto dalle verità che mi suggeriscono anche gli attori”.
Il prossimo classico a cui ti ispirerai?
“Il prossimo progetto è assolutamente top secret, non posso svelare nulla. Solo che stavolta si tratterà di due autori, di cui uno inglese. Autori a prima vista agli antipodi, diversissimi, che tuttavia dicono sostanzialmente le stesse cose”.
Nel progetto S.E.T.A tu sei insegnante, regista e attore. Come riesci a controllare e scinderti tra i vari ruoli?
“In realtà io non mi definisco né insegnante né regista, ma semplicemente un attore tra colleghi. Anzi, a dirla tutta, non mi piace neanche il termine insegnante. Lo esprime bene anche il mio
progetto S.E.T.A. che è nato nel gennaio 2014, proprio qui a Catania, da una mia esigenza specifica e personalissima. Ha concretizzato, infatti, il mio desiderio di mettere in atto un percorso
formativo in linea con i parametri internazionali imitando il processo formativo appartenente a vari ambiti come la danza contemporanea, o metodi specifici dell’arte teatrale, partendo sempre dalla ricerca continua da parte dell’attore. Ricerca di verità, di se stessi. Io stesso scrivo per gli attori, m’improvviso regista, ma in ogni mia performance o progetto, cerco di seguire sempre le mie propensioni attoriali. Essere registi di se stessi, poi, è davvero difficile. Nei laboratori del progetto S.E.T.A. lavoro per lo più con attori non professionisti, che sono i meno malleabili e i meno propensi alla metodologia di laboratorio in itinere. Il nostro laboratorio è infatti più una sorta di lenta palestra, un laboratorio artigianale. Non a caso, il progetto, infatti, cambia e si plasma di volta in volta in base alle persone che vi partecipano e al loro percorso personale. In questi anni il S.E.T.A. ha maturato incontri periodici settimanali godendo della partecipazione di numerosi giovani artisti; e ha rappresentato un punto fermo per tutti coloro che in un percorso personale e autonomo hanno sviluppato l’urgenza indispensabile per la propria crescita artistica ed emotiva, mettendo al primo posto un elemento imprescindibile, secondo me, per un teatro del presente e in pre-visione del futuro: la ricerca. Benché io provenga dall’Accademia di recitazione di Genova, sia stato in Francia per molto tempo, abbia lavorato anche per la televisione e ancora oggi reciti o curi regie per altri iniziative, sento di aver trovato, qui a Catania, una stabilità personale con questo progetto. E’ davvero soddisfacente essere capiti e apprezzati nella realtà catanese, che attraversa, specialmente negli ambiti artistici, una forte crisi finanziaria”.
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