Il ricordo di Pietro Anastasi: “Petru u’ turcu”


Pietro_Anastasi

Nei giorni scorsi si è spento, dopo lunga malattia, Pietro Anastasi, per tutti i catanesi “Petru u’ turcu”. Figlio illustre di una Catania degli anni 60/70 in cui il fenomeno dell’emigrazione era molto forte. E lui, abile e fortunato, prende il treno per il Nord insieme ai suoi conterranei e si trasferisce in quella Varese che diventerà la sua città d’adozione. E dove ha anche conosciuto e sposato Anna, l’amore della sua vita, che gli darà due figli: Silvano e Gianluca. Ma la sua valigia di cartone nasconde un tesoro: un pallone. Quel pallone che gli darà gloria, soddisfazione e denaro. Sin da quando sul suo cammino incrocia quello della “Vecchia Signora”, la Juventus, che, annoverandolo tra i suoi calciatori, ne fa uno dei campioni più stimati dell’epoca. Era il 1968. E lui, catanese, porta in gloria il Sud, rappresentando anche per gli operai che lavoravano al Nord il riscatto domenicale. Tutti stimavano Anastasi, tutti ne esaltavano le doti balistiche da goleador. Fu un periodo d’oro, quello. Anche per la Nazionale. Che grazie proprio ad Anastasi, vince l’unico Europeo della sua storia, proprio nel 1968 e con un goal da cineteca del campione catanese. Trascorre otto anni al cospetto della mole, collezionando 307 presenze, 132 goal e vincendo 3 scudetti ed una coppa Italia. Poi, dal 1976 inizia la sua parabola discendente, passando prima all’Inter, poi all’Ascoli ed infine al Lugano, dove chiude la sua carriera. Poco altro fa nella sua vita dopo aver appeso le scarpette al chiodo. Prende il patentino da allenatore di terza e seconda categoria, allena qualche formazione locale, diventa opinionista TV . Poi, tre anni fa, scopre un tumore all’intestino, da cui guarisce, e un male invece da cui non ha scampo: la sla. La sua vita finisce così, con un nemico che a soli 71 anni è stato impossibile sconfiggere. Il mondo dello sport tutto lo piange. Questo ragazzino scuro di pelle che ha rappresentato per molti “terroni” una speranza, la speranza di farcela a sopravvivere in un ambiente molto spesso ostile. Pietruzzo se n’è andato, ma il ricordo di ciò che ha rappresentato, insieme alle sue prodezze domenicali, rimarrà certamente per sempre nel ricordo di chi lo ha conosciuto ed apprezzato. E non solo negli archivi della RAI.

Lella Seminerio

Articolo Precedente Ambasciatori del Gusto: ecco il pane con i grani siciliani
Articolo Successivo Museo della Rappresentazione, aperti i percorsi espositivi

Scrivi un Commento

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *