È domenica. Il sole ancora intenso riscalda oltremodo questo autunno dorato. Il clima mite, quindi, mi spinge a ripercorrere una vecchia strada e a riappropriarmi di una antica passione: vado allo stadio. Cerco la sciarpa rossazzurra ma non la trovo. Sarà impolverata e magari sbiadita. Forse pungerà pure e con questo caldo non è il caso di indossarla. Poi, dal fondo di un cassetto viene inaspettatamente fuori. Non è impolverata e nemmeno sbiadita. La indosso. Punge un po’, ma decido di tenerla. Io e mio marito ci avviamo con grande anticipo perché siamo ancora senza biglietti, certi del fatto che al botteghino dello stadio del Catania calcio potremmo provvedere.
La città attorno allo stadio è blindata, transenne ovunque. E dunque parcheggiamo molto distanti. All’arrivo in Piazza Spedini troviamo un capannello di gente nei pressi del botteghino. “È chiuso” ci dicono “l’unico modo per fare i biglietti è online, qui non si sa se aprono”. Qualcuno aggiunge, sfoggiando la tipica liscia catanese: “ma do divanu bona si viri, iu mi nni vaiu a casa”.
Io e mio marito no. Lui legge a chiare lettere la delusione nei miei occhi e quindi armeggia con il cellulare, chiama una delle nostre figlie e alle fine riesce nell’intento: abbiamo i biglietti! Tribuna élite, i posti sono quasi tutti esauriti in ogni settore e in tribuna A erano rimasti i laterali, da cui si vede male. Sono felice. Entro tra i tornelli e l’emozione diventa più forte. Non andavo allo stadio dalla serie A di Pulvirenti, ma la nostalgia che mi prende è un’altra. È la mano di mio papà che stringe forte la mia.
Ero piccola, ma così tanto piccola che leggevo a stento le parole grandi sui cartelloni pubblicitari. L’emozione diventa un groppo in gola. I miei passi sulle scale e la vista del rettangolo di gioco appannano gli occhi. Deglutisco. E guardo con malinconia la tribuna C dove mio padre era abbonato. E mi rivedo ancora lì, in piedi, vicino la balaustra che mi impediva la visuale, aspettando che si gonfiasse la rete per poter esultare.
Mostro a mio marito quella parte di stadio che mi ha visto crescere tifosa rossazzurra. Tra gioie, ma soprattutto dolori. Le curve, la nord soprattutto, cantano a squarciagola. I cori sono cambiati, ma l’emozione non muta. Non conosce età, stagione, categoria. Noto con piacere che intere famiglie, donne e bambini vengono a vedere la partita e che l’entusiasmo sta vivendo una nuova fase. Il Catania calcio 1946 è morto, ma dalle sue ceneri è rinata una speranza che, domenica dopo domenica, complice una serie impressionante di vittorie, acquista i contorni di una realtà sempre più concreta. Il nuovo presidente Ross Pelligra ha le idee chiare: riportare la squadra dove merita. E per questo ha messo in piedi una società forte, fatta di professionisti di altissimo livello. La città è con lui, i tifosi sono con lui. E gli spalti gremiti tutte le domeniche lo dimostrano ampiamente.
Non è certamente un pubblico di serie D quello che assiepa il vecchio Cibali (mi piace ancora chiamarlo così), su questo non c’è dubbio. Persino qualche squadra di serie A avrebbe qualcosa da invidiare al cospicuo numero e alla straordinaria passione dei sostenitori del Catania. Perché se è vero com’è vero che le cocenti delusioni degli ultimi anni hanno messo a dura prova la tenacia dei tifosi rossazzurri, è vero pure che questi ultimi hanno risposto presente alle nuove opportunità che il presidente sta portando avanti. E così tutti i tifosi rispolverano le sciarpe riposte nei cassetti, ormai da troppo tempo, e si fanno travolgere dalle emozioni che, ne siamo certi, condurranno città, società e squadra a nuovi/vecchi traguardi sempre più prestigiosi.
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