Le abbiamo viste scendere sui campi di calcio le nostre azzurre, coi capelli legati, senza trucco sul viso e senza smalto sulle unghie (forse qualcuna si). Le abbiamo viste cantare con impeto e passione l’inno di Mameli, ad occhi chiusi e persino con la mano sul cuore. Le abbiamo amate sin da subito, per quelle gocce di sudore che copiosamente hanno stillato sui campi, per quell’impegno profuso a piene mani, per quell’orgoglio e quell’appartenenza alla nazione che ci hanno trasmesso così chiaramente via etere attraverso le loro abili giocate, gli assist, i goal. Le abbiamo viste vincere il girone di qualificazione, sconfiggere la quotata Cina, e cullare nel cuore un sogno tutto d’oro. Poi le abbiamo viste arrendersi contro l’Olanda. Le loro lacrime, lasciate sull’erba a fine gara, però, non devono avere il sapore amaro della sconfitta, ma devono covare la certezza che il loro impegno e la loro abnegazione hanno prodotto mirabili frutti. Sbocciati e maturati al tiepido sole della volontà, della determinazione, dello spirito di sacrificio, del coraggio e dell’audacia. Le nostre azzurre ci hanno mostrato di cosa sono capaci e di che stoffa sono fatte. Tutto il movimento calcistico nazionale, senza distinzione di sesso, si è interessato a loro e anche nella stanza dei bottoni non possono più negare l’evidenza: la strada è ormai tracciata, le calciatrici meritano assolutamente il passaggio a professioniste. Il mondiale appena concluso incorona per la quarta volta le calciatrici U.S.A. campionesse del mondo, e l’Olanda, che ci ha fermate ai quarti, appena un gradino sotto. Completa il podio la Svezia che ha avuto ragione dell’Inghilterra, medaglia di legno. E le nostre azzurre, ormai tra le otto compagini più forti al mondo, in che posto si collocano? Beh, nel nostro grande cuore azzurro, sicuramente al primo!
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