Eravamo rimasti ad Annalisa Moccia, nel marzo del 2019, quando un telecronista (che probabilmente non rappresenta la categoria), ha pensato bene di apostrofare con l’infelice espressione “sembra una barzelletta” l’ingresso di una donna arbitro in campo in una partita di calcio giocata da uomini. Non è trascorso invano, questo tempo. Poco meno di due anni in cui, a ritmo incalzante, si sono susseguite le conquiste femminili in ogni settore.
Proseguendo quindi, in maniera inesorabile, la marcia muliebre anche su un mondo come quello del calcio, da sempre di esclusivo appannaggio degli uomini. Il calcio è un “gioco maschio” ce lo siamo sentiti ripetere all’infinito, come un mantra, come una formula, come a voler rimarcare già con le parole, i confini di un territorio inespugnabile per le donne. Gli ultimi anni, però, hanno dimostrato che non è così, che i successi femminili in ambito calcistico sono tanti e di prestigio. Lasciando un segno sempre più profondo.
E, poi, ciliegina sulla torta, arriva lei. Arriva Stéphanie Frappart, francese, 37 anni, a rendere possibile, oltre ogni tipo di congettura sessista, ciò che fino a poco tempo fa possibile non era. Nell’agosto del 2019, ad esempio, dirige la finale maschile di supercoppa europea tra Liverpool e Chelsea, vinta dai Reds dopo i calci di rigore, e nello stesso anno si aggiudica il Golbe Soccer Awards, titolo assegnato al miglior arbitro dell’anno. Miglior arbitro dell’anno non del calcio femminile, ma semplicemente del calcio. E tocca ancora a lei, la minuta direttrice di gara francese, confrontarsi con la massima competizione europea per squadre di club, la Champions League, arbitrando Juventus – Dinamo Kiev, per la cronaca vinta dai bianconeri 3-0. Si presenta in campo tenendo la sfera sotto braccio senza apparente emozione, con i capelli tirati e tenuti insieme da una piccola coda, pronta a comandare una terna di soli uomini. Sembra uno scricciolo al cospetto dei giganti in campo. Ma ispira rispetto. Fischietto in bocca cartellini nel taschino e sguardo concentrato. La partita non è complicata, scivola via senza grandi scossoni: Stéphanie fischia il giusto e le tre ammonizioni comminate sono sacrosante. Una direzione che rasenta la perfezione. E’ toccato dunque a lei infrangere il muro, aprire una porta, sbriciolare un primato e scrivere di conseguenza una nuova pagina di storia. Che ribadisce, ancora una volta, un’equazione semplice semplice: il professionismo non è assolutamente questione di genere.
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