C’era il Catania in serie B quando cominciai a frequentare lo stadio. La mia piccola manina si aggrappava a quella forte e sicura di mio papà che mi portava in quel luogo ancora sconosciuto, istruendomi sul calcio e le sue regole. Partita dopo partita nacque la mia passione per il pallone. Era un calcio per soli uomini. Quelli sugli spalti e quelli in campo, arbitri e guardalinee compresi. Io una mosca bianca, un’unica gonna in mezzo ai pantaloni. Ma mio padre mostrava un’assenza di pregiudizi non comune, a sfoggiare una figlia femmina che amava e capiva il calcio tra orde di maschi che, tra l’altro, si lasciavano andare spesso e volentieri a gesti e parole non proprio da educande.
Avevo sperato da sempre di incontrare qualcuna che amasse il calcio come me, che venisse allo stadio a ingentilire la tribuna. Ma nel tempo che lo frequentai non ebbi questa fortuna. Anche in TV, nei volti televisivi che parlavano di pallone, nessuna donna perveniva.
Adesso molta strada è stata fatta e le belle signore della domenica, preparate ed esperte, parlano di calcio quantomeno con la stessa competenza maschile, sfoggiando una padronanza della materia assolutamente equivalente a quella dei colleghi.
In un tempo in cui il calcio femminile scala posizioni nelle preferenze degli appassionati e conquista sempre più spazio nei programmi televisivi, un tempo in cui le donne diventano anche arbitro e guardalinee, superando accurate selezioni, partecipando a corsi di formazione e preparandosi a dovere, tutto ci si aspetta tranne che il tizio di turno, insulti pesantemente una guardalinee, per il solo fatto di appartenere al gentil sesso. Non è gradita al signor (è un chiaro eufemismo) telecronista l’appartenenza di un giudice di campo al genere opposto al suo. Donna in una partita di uomini. Non è accettabile una tale “barzelletta”.
Un’assurdità che stride pesantemente con tutte le più importanti conquiste sociali di sempre. La verità è che non ci sono parole sufficientemente efficaci per continuare a discutere dell’argomento senza correre il rischio di scadere in vocaboli poco adatti al linguaggio civile. Potremmo dire che si tratta solo di un caso isolato, potremmo pensare che l’episodio rappresenti un rigurgito occasionale di una società maschilista che, però, sempre più, dedica attenzioni alle donne. Potremmo, addirittura, essere distaccati e lasciare spazio all’indifferenza, ed evitando, parlandone, di dargli troppa rilevanza. In realtà abbiamo una sola scelta: condannare parole e atteggiamenti. Lo dobbiamo alle donne, e alle donne che ci hanno preceduto e a quelle che verranno. Il fine è quello di tracciare l’unica via possibile: educare la società al rispetto della donna, non in quanto essere in via di estinzione da tutelare, ma in quanto essere umano, in grado, esattamente al pari di un uomo, di ricoprire qualsiasi ruolo voglia ricoprire, incluso la guardalinee di una partita di uomini.
Al riguardo, il solito tizio, interpellato successivamente, ne ha fatto una questione di promiscuità, che nulla avrebbe a che vedere con sessismo e misoginia. Ma tutto quello che rivela questo commento altro non è che una malcelata attitudine maschilista a filtrare con l’occhio di un uomo tutto il mondo che ci circonda.
Le donne, tutte insieme, sia che amino il calcio o meno, devono auspicare una presa di posizione netta e chiara a favore di Annalisa Moccia da parte di tutti. E noi, in redazione, lo chiediamo a gran voce. E anche se non siamo tutte donne, abbiamo deciso di chiamarci Annalisa. E voi?
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